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I legumi secchi, Nuove conferme delle loro grandi virtù. E riducono anche il peso.

Fagioli rossi, bianchi, neri, gialli, con l’occhio, marmorizzati, grigi, perfino celesti (le varietà di Phaseolus vulgaris, P. lunatus, Vigna unguiculata ecc.) sono migliaia in tutto il Mondo); piselli verdi e gialli (interi e spaccati), ceci gialli e neri; fave intere e sbucciate; lenticchie piccolissime sferiche e grandi piatte, normali e rosse decorticate; piccolissimi fagioli verdi (mung, con cui si fanno i cosiddetti “germogli di soia”) e rossi (azuki), grandissimi fagioli bianchi di Spagna o Lima, ecc. Stranezze? No, sono il normale, variegato, coloratissimo mondo dei legumi, ricco di sapori più diversi (p.es. il gusto del fagiolo dell’occhio è quasi affumicato). Che è stato e deve continuare ad essere un nostro cibo comune, frequentissimo, anche quotidiano.

I legumi sono davvero il simbolo, insieme paradossale ma vero, del cibo sano, sia nella alimentazione naturale o naturista, sia nella dieta vegetariana, sia nella vera dieta mediterranea (non quella moderna o della pubblicità, ma quella storica, antica, popolare). Esagerazioni? No, perché i legumi sono stati il primo cibo di resistenza dell’Uomo, ai tempi in cui la nostra specie cercava disperatamente per prove ed errori il proprio “cibo naturale”.
Perché cibo paradossale? Perché sono insieme disprezzati (dall’uomo di oggi, specie di città) e lodati (dalla Scienza moderna, che in questo caso approva la Tradizione antica, anche se molti medici e nutrizionisti sono rimasti nell’ottusa “prudenza” di decenni fa, quando di legumi si sapeva poco, considerandoli cibi “poco nutrienti” o “poco adatti ai bambini o ai malati di uricemia”, cioè con molto acido urico). Ma è vero che sono insieme nutrienti e ricchi di sostanze anti-nutrienti: solo che questa doppiezza è proprio la loro salutare virtù.
Ma le accuse sono infondate. Sono stati considerati a lungo “indigesti”  (sbagliato: è colpa della flora batterica “non educata” di chi non li mangia mai o soffre di colon irritabile…), e perciò oggi consumati poco e da pochi, e addirittura sconsigliati sic et simpliciter, senza fare indagini, come cibo quotidiano da alcuni medici (sbagliato). Sono ritenuti “di lunga cottura” (sbagliato: cuocendone 500 g in pentola a pressione, paradossalmente i legumi sono di rapida cottura, dato che a cuocerli in buona quantità – come dovrebbero essere ovvio – ogni singola porzione richiede minor tempo degli spaghetti, circa 5-10 min.). Perché “inadatti all’età dello sviluppo”, cioè per bambini e adolescenti, a causa di proteine incomplete e tante sostanze anti-nutritive. Sbagliato. Forse poteva essere vero per individui in povertà estrema che vivevano di soli legumi, come è vero con i piccoli degli animali che non possono integrare come l’uomo con pane, pasta, polente, minestre di cereali e altri cibi ricchi di carboidrati. Infatti sono provati i benefici nutrizionali della complementazione proteica nel medesimo pasto: le proteine dei cereali si sposano magnificamente con quelle dei legumi, dando proteine complessive di valore biologico medio-alto, vicine a quelle della carne. E oggi abbiamo il problema opposto: troppe proteine nella dieta quotidiana. E’ giustificata qualche prudenza solo per i bambini più piccoli, ai quali per l’immaturità del loro sistema digerente non possiamo dare regolarmente legumi complementati con ricche porzioni di cereali. In tali casi, piuttosto che non dargli mai i legumi, è meglio abituare la loro flora in formazione supplementando i legumi con porzioni quotidiane di latticini e-o uova, cioè proteine molto facilmente assimilabili anche da sole. Oggi, poi, sono accusati di essere contraddittori”: ricchi di nutrimento (proteine e amido), ma anche molto dotati di sostanze anti-nutrizionali (vero), in passato ritenute addirittura “tossiche”. Ma, arrivano i nostri: oggi si rivelano alla scienza moderna addirittura tra le sostanze più protettive contro molti disturbi e malattie anche gravi : stipsi, sovrappeso, obesità, diabete, colesterolo eccessivo, alcuni tipi di tumori ecc. Grazie proprio a quelle sostanze “tossiche” e “indigeste”.

E invece i legumi sono un cibo fondamentale, rappresentando addirittura il terzo grande vantaggio  dell’alimentazione sana naturale (dopo il concetto di integrale e dopo l’abbondanza di verdura-frutta). Come mai?
      Perché possono bastare da soli, o quasi, ricchi come sono di antiossidanti, di fibre, di anti-nutrienti preventivi, di buone proteine, e di carboidrati complessi, a sostituire in tutto o in parte sia i primi piatti, sia i secondi, cioè pastasciutta-pane-pizza ecc. e carne-pesce-formaggi ecc. Insomma, bastano i legumi mangiati spesso, anche ogni giorno, per rivoluzionare in meglio una cattiva dieta.
I legumi, perciò, sono un paradigma dell’ambivalenza, della apparente contraddittorietà, delle tipiche “giravolte a sorpresa” dell’alimentazione naturale: cibi che, visti con superficialità, “fanno bene” e “fanno male”, come dice ancor oggi l’uomo della strada, a seconda di quale sostanza contenuta, di quale funzione biologica o disturbo si consideri.
Fanno parte della nostra Storia, perché già nella grande civiltà agricola degli Etruschi-Romani era d’uso consumare legumi quasi ogni giorno insieme con le farinate prima di miglio (fitilla), poi d’orzo (polenta) e infine, a ricchezza raggiunta, di farro o frumento (puls). Tanto familiari e sulla bocca di tutti che Cicero, Lentulus, Fabius ecc. erano nomi di persona dell’antica Roma di chiara derivazione da ceci, lenticchie e fave. Perfino i fagioli avevano, quelli con l’occhio (Vigna unguiculata), mentre gli altri fagioli del genere Phaseolus vennero con Cristoforo Colombo dall’America. E il gran consumo di legumi durò fino agli anni Cinquanta del Novecento. La stessa l’osservazione della dieta dei popoli oggi meno toccati dal modernismo del cibo iperproteico e raffinato, come quelli d’Oriente, del Sud America e dell’Africa, che ci conferma l’altissimo valore nutritivo, protettivo e perfino curativo di fagioli (così tante varietà – bianche, rosse, gialle, nere, celestine, brune, marmorizzate, da sembrare specie diverse), ceci, lenticchie, fave, piselli, e delle centinaia di altre specie e varietà di leguminose alimentari, dalle squisite cicerchie dei contadini più poveri (oggi, però, costosissime) agli azuki, Vigna angularis (in Italia anni fa chiamati per errore “soia rossa”), ai piccoli mung (in Italia, stranamente venduti anche come ”soia verde”), alla soia vera e propria (che è solo quella gialla, un seme rotondo-allungato regolarissimo e spesso durissimo da cuocere), e così via, di specie in varietà italiane, americane ed asiatiche.
Legumi misti colorati
Alimenti tutti molto saporiti, ognuno col suo gusto e i suoi colori, che costano poco (e in questi tempi di crisi economica non è una virtù secondaria), sia per onnivori, sia per vegetariani, sia a maggior ragione per vegans, i legumi sono la base proteico-amidacea di una perfetta alimentazione naturale di lungo periodo, digeribilissimi quanto più li si mangia, molto sazianti (quindi è impossibile abusarne), perfino “dimagranti”, dunque utilissimi e paradossalmente sanissimi. Perché “paradossalmente”?
Perché gli abbondanti composti anti-nutrizionali (tra cui fitati, polifenoli, saponine, antitripsine e altri anti-enzimi, antiagglutinine, lignani e fibre in genere, soprattutto solubili ecc), presenti nei legumi – soprattutto, se non esclusivamente, nella parte esterna (buccia) – come mezzi di difesa, veri e propri pesticidi naturali contro i predatori animali, oppure per reagire agli stress (raggi ultravioletti ecc), si risolvono una volta nell’intestino dell’uomo in fattori potentemente protettivi, in mezzi di difesa da molte malattie. Insomma, nati per nuocere, i composti dei legumi sono in realtà i nostri migliori difensori.
Le loro fibre, soprattutto quelle solubili, e i loro polisaccaridi indigeribili, arrivando indigesti nel colon sono aggrediti dalla flora batterica residente, che li fermenta con produzione di preziosi acidi grassi a catena corta (acidi butirrico, propionico, acetico ecc.), che sono curiosamente saturi e volatili, acidi grassi isolati che non danno trigliceridi, i quali nutrono e proteggono il tubo intestinale (butirrico) e per varie vie riducono la sintesi del colesterolo, i trigliceridi nel sangue, il glucosio e la glicemia, e la secrezione di insulina, abbassando i rischi di malattie cardiovascolari, diabete, sindrome metabolica e perfino di alcuni tumori (p.es., colon-retto).
      Ma tutte queste sostanze protettive e anti-nutrizionali dei legumi sono presenti per lo più, se non esclusivamente, nella parte esterna, cioè nella buccia. Quindi, se fanno bene le mamme a passare i legumi col passa-verdure per i bambini piccolissimi, a causa del loro sistema digerente ancora non perfettamente efficiente, fanno male i tanti adulti che hanno l’abitudine di passare i legumi togliendo loro la buccia, “per renderli più digeribili”. Che siano o no affetti da colite, cioè da colon irritabile, questo non deve mai essere una scusa per non mangiare legumi. Sul momento, forse, ci riescono, ma non abituando i batteri del colon a digerire fibre e polisaccaridi dei legumi, rimandano a tempi futuri la loro “educazione”. Infatti, paradossalmente, mangiare spesso legumi, meglio se ogni giorno, modula i ceppi più benèfici dei batteri del colon, il che non danneggia ma alla lunga aiuta i colitici. Se non li mangiano, oltretutto si privano di tutti i vantaggi protettivi sopra elencati, riuscendo nell’impresa acrobatica di ottenere finalmente uno svantaggio dai legumi: privati della buccia, cioè della loro parte protettiva e anti-nutrizionale, i legumi sono ridotti ad amido più proteine, cioè a un banale cibo energetico, molto più assimilabile. Quindi, attenti alle calorie: con i legumi privati della buccia, come anche senza legumi, c’è rischio di ingrassare.
Tutte quelle sostanze naturali attive presenti nella buccia dei legumi, non solo perché fermentabili dai batteri, ma anche perché di per sé antinutrienti e “tossiche” – come fitati, saponine, polifenoli ecc. già detti (non dimentichiamo la ragione per cui la pianta li ha selezionati: autodifesa dai predatori), fanno assimilare meno nutrienti, come amidi, proteine, grassi. Ottimo, per restare magri e sani, pur mangiando abbondantemente! Quindi sbagliano quelli che non sanno o non studiano (compresi non pochi nutrizionisti e medici), ad allarmarsi di fronte a un po’ meno di proteine, zuccheri e sali minerali assorbiti. Basta saperlo: è facile organizzare delle contromisure per difetti del genere. Il problema dei tempi moderni nelle società opulente dell’Occidente è l’eccesso, non la scarsità. Infatti i vantaggi dei legumi sono enormemente superiori agli svantaggi: proprio grazie a quei “difetti”, come hanno dimostrato migliaia di studi scientifici, sono addirittura anti-stitichezza, anti-diverticolite, anti-sovrappeso, anti-obesità, anti-diabete, anti-colesterolo e malattie cardiovascolari, anti-cancro. Basta? Che altro c’è? Ah, sì: “Solo il raffreddore non prevengono, ma anche per quello ci stiamo attrezzando”, direbbe Woody Allen.
Ma i fitati e altri composti chelanti, cioè che si uniscono ad alcune sostanze rendendole insolubili e inattaccabili dagli enzimi digestivi, rendono poco assimilabili anche i sali minerali, tra cui calcio e fosforo. Questo è davvero l’ unico punto debole dei legumi, però facilmente compensabile in una dieta accorta. Basta saperlo e si cercherà di aumentare la quota dei cibi ricchi di quei sali minerali. In compenso, i fitati e le altre sostanze chelanti sono potenti anti-cancro, perfino anti-metastasi. Così accade spesso in Natura: dal bene viene il male, ma dal male può venire il bene. Proprio a voler essere pignoli e allarmisti, gli unici legumi che non bisogna mangiare ogni giorno, sono un legume ormai raro e costosissimo, la cicerchia (v. l’apposito articolo), e la soia al naturale, quella vera (seme giallo, di grandezza medio-piccola), finora poco usata perfino nel lontano Oriente per la sua durezza e difficoltà di cottura. Oggi però sono in vendita varietà di soia molto più tenere: si mettono a bagno una notte e si cuociono in 1 ora, o poco più, in pentola a pressione. Sono più usati, ovviamente, per la pigrizia di chi sta in cucina, i suoi derivati pronti, tra cui latte di soia, yogurt di soia, tofu, proteine isolate (“carne di soia”), tempeh (semi di soia fermentati) ecc. Questi sostituti, però, non risolvono il problema della minestra, quindi non riempiono e non soddisfano come una normale minestra di legumi bolliti, e alla fine spingono a mangiare di più riempiendosi d’altro. Quindi torniamo alle classiche minestre di legumi, da soli o con cereali (grano tenero integrale, polenta di grano duro o bulgur, pasta integrale, orzo integrale, crostini di pane integrale di accompagnamento, riso integrale ecc).
La minore incidenza di tumori femminili nelle donne orientali sembra dovuta alla soia, il loro legume preferito, che consumano in abbondanza, ogni giorno. Con i suoi isoflavoni, che nel corpo hanno una certa, sia pur debole, attività estrogenica e integrano le carenze fisiologiche, la soia con i suoi derivati potrebbe incidere su terapie ormonali (se il medico vi dà una cura con estrogeni, avvertirlo che si consuma soia, e specificare in quale misura: ve ne darà di meno) oppure alleviare i disturbi della menopausa (v. articolo dedicato). Solo se consumata in eccesso – accade solo in Oriente – potrebbe causare addirittura modificazioni del ciclo mestruale e delle ghiandole sessuali del feto. Tutte reazioni solo teoriche, molto improbabili se la si consuma in quantità normali, alternandola come si fa in Europa a tutti gli altri legumi. Ad ogni modo, l’uso di soia e derivati è visto positivamente da endocrinologi e oncologi perché è protettivo, specialmente per la donna.
E i germogli? Ci sono anche i legumi germogliati, che proprio grazie alla germinazione e alla germogliazione mettono in opera gli enzimi che riducono le antitripsine e le altre sostanze anti-nutrienti. I più adatti a essere germogliati sono i piccolissimi e verdi fagioli mung (tenerissimi, buonissimi, facilissimi da germogliare in casa, adatti a essere consumati crudi in contorni e insalate). In Italia sono venduti col nome commerciale di “germogli di soia”, ma la soia non c’entra nulla, i semi di soia sono diversissimi: di color giallo, più grossi e molto più duri anche dopo germinazione, tanto che devono essere comunque cotti. Ma il nome è rimasto, per colpa dei consumatori provinciali e molto ignoranti in fatto di alimenti (e sul resto…) che – hanno scoperto i produttori – non li acquisterebbero mai col loro vero nome!
Anche le lenticchie e gli azuki, piccoli fagioli orientali di colore rosso scuro, essendo di taglia piccola si possono facilmente germogliare e consumare crudi. Le lenticchie germogliate si uniscono alle insalate: squisite col loro gusto delicato e il retrogusto piacevolmente amarognolo.
Insomma, fagioli di ogni tipo, ceci, piselli, lenticchie, mung, azuki, fave, sono il fondamento, anche storicamente (l’uomo ha sempre mangiato tanti legumi, anche ogni giorno), di un vero regime alimentare di buona salute. Consumando un piatto di legumi ogni giorno, sempre conservando il principio della massima varietà anche tra legumi, si è già a metà della dieta giusta.
La scienza di oggi – ne abbiamo già parlato – ha provato con migliaia di articoli che i legumi sono collegati ad un minor rischio di malattie da benessere o Civilization Disease, grazie proprio alle centinaia di sostanze non nutrizionali o anti-nutrizionali che i legumi contengono: fibre solubili e insolubili, polifenoli, saponine, fitati, antiagglutinine o lectine, fitormoni, polisaccaridi ed altre preziose sostanze farmacologiche.


LA COMPLEMENTAZIONE TRA LEGUMI E CEREALI. I legumi sono cibo validissimo sul piano nutrizionale e dietologico se uniti nel pasto – non necessariamente nello stesso piatto – ai cereali (pane, pasta, riso, grano in chicchi, orzo, miglio, avena, mais ecc.). Si verifica una singolare integrazione in seguito alla digestione comune tra proteine di bassa qualità biologica, cioè poco assimilabili (i cereali) e proteine di buona qualità, cioè ben assimilabili (legumi), il che permette di sintetizzare proteine globali paragonabili a quelle della carne, senza gli effetti cancerogeni della cottura della carne. Questo “matrimonio” si chiama complementazione degli aminoacidi e avviene al meglio con quantità uguali di proteine dei legumi e cereali. Il che si verifica, visto che i legumi hanno circa il doppio di proteine dei cereali, con un rapporto in peso a secco sulla bilancia pari a circa 2 a 1 (v. tabella).

FISIME. In conclusione, è sbagliato, arretrato, anti-scientifico e anti-storico continuare a mettere in guardia dai legumi, per i loro presunti “effetti secondari” nutrizionali. Ormai è diventata una fisima, vero e proprio faddism. Anzi, proprio questi sono utili. I legumi servono anche per le loro apparenti qualità “negative”, le stesse che impensierivano qualche medico o terapeuta igienista di 100 anni fa (non per caso), o continuano stupidamente a preoccupare – contro l’evidenza scientifica – qualche nutrizionista arretrato o medico che non studia. Così, si arriva al punto da consigliare l’uso limitato dei legumi (3-4 volte a settimana), solo perché qualche signora che non li mangia mai si lamenta del mal di pancia (meteorismo o aerofagia, cioè gas intestinali) le prime volte che li consuma. “Ah sì, signora, ha problemi con i fagioli? E lei non li mangi!” consigliano i moderni “medici di Pinocchio”: una vera castroneria anti-scientifica.
Proprio all’opposto, è l’uso che crea la funzione metabolica. E’ la flora batterica simbionte del colon che deve abituarsi in pochi giorni, perfino se siamo colitici (colon irritabile), ai famigerati polisaccaridi indigeribili tipici dei legumi (stachiosio, raffinosio, verbascosio ecc). Così, perfino questi polisaccaridi arrivati ancora indigesti nel colon verranno fermentati dai batteri ivi residenti. Ecco i fenomeni di meteorismo lamentati da alcuni al ventre. Ma con l’uso regolare questi fenomeni si attenueranno, fino quasi a scomparire. Anzi, se resteranno, sarà per la nostra colite che reagisce male, emotivamente, ai mille fattori di stress, non per i legumi, se sono ben cotti.
Insomma, con l’uso regolare i legumi avranno per tutta la vita una digestione più facile di quella di certe insalate, come il radicchio crudo o la cicorietta cruda. Perfino per i tanti eterni colitici. Provare per credere. Comunque i problemi di colite sono psicosomatici, non imputabili certo ai legumi, se li consumate da tempo regolarmente. Fatto sta che, se si mangiano ogni giorno, i legumi non danno il minimo problema meteorico, anzi, sembrano perfino regolarizzare, modulare, calmare, grazie alla “educazione” della flora batterica, la reattività del colon. Quando si stabilisce l’abitudine della flora intestinale, è possibile semmai, talvolta, che la cellulosa del radicchio rosso o di alcune insalate crude possa dare gonfiore, ma non certo i legumi. Purché, attenzione, siano molto ben cotti: a cottura ultimata devono sempre risultare tenerissimi, facilmente schiacciabili tra le dita, mai “al dente”.

TRATTAMENTO PRIMA DELLA COTTURA. Tutti i legumi, per intenerirli prima della cottura (grazie alle attivazioni enzimatiche che avvengono all’interno del seme grazie alla idratazione), vanno sempre lasciati a bagno in acqua per almeno 8-12 ore. Quelli più duri e anti-nutritivi (ceci di alcune varietà più dure. ma soprattutto cicerchie) possono essere lasciati in acqua, poi sciacquati più volte e rimessi a bagno, perfino 24-48 ore, ricorrendo anche all’acqua calda sanitaria del rubinetto!
I legumi più teneri, invece, tipiche le lenticchie, ma anche i mung, gli azuki e i piselli spaccati, possono essere messi a bagno anche solo 2-3-4 ore. Molti non li mettono neanche a bagno. Ma la regola generale è: più stanno a bagno, meglio è, compatibilmente con l’imputridimento dell’acqua e il rischio di fermentazioni anomale d’estate o al caldo (in questo caso sciacquare più volte e cambiare acqua). Per inciso, il medesimo trattamento devono avere anche i chicchi di cereali integrali, per i quali bastano 8 ore circa, anche più per il riso integrale nero tipo Venere e analoghi risi rustici neri.
      La funzione dell’ammollo? E’ molteplice. Serve a rendere più teneri e digeribili i legumi riducendo sia per via enzimatica sia per dispersione nell’acqua parte delle abbondanti sostanze indurenti e anti-nutritive, come gli inibitori delle proteasi (anti-enzimi che inibiscono gli enzimi digestivi proteolitici del tubo digerente), le saponine, i polifenoli, i fitati ecc. Perciò il bagno prolungato serve anche a ridurre i tempi di cottura, ad accrescere la digeribilità del legume e a migliorare l’assimilazione dei suoi nutrienti (proteine, carboidrati, sali minerali). I vecchi salumieri che vendevano anche legumi offrivano ceci già ammollati, dopo averli lasciati in contenitori dove l’acqua scorreva per giorni.
D’altra parte è vero è che le sostanze indurenti e antinutritive, nate per danneggiare i predatori della pianta e per proteggere il seme dagli agenti atmosferici, sono nell’uomo anche protettive, anti-colesterolo, anti-diabete, antiossidanti e anti-cancro. Però non possono essere assunte se il legume non è ben cotto e quindi mangiabile. Perciò, agendo su durata e acqua di ammollo e cottura si possono mettere d’accordo le due esigenze. Per tradizione, non si sa quanto confermata dalla scienza, si usa aggiungere un pugno o qualche cucchiaio di sale nell’acqua di ammollo di ceci e cicerchie, i legumi più duri. E’ ovvio che in questo caso dovranno essere sciacquati accuratamente molte volte e con acqua corrente prima di essere cotti, dato che il sale è in fase di cottura un indurente dei legumi. E in questo caso a maggior ragione l’acqua salata di ammollo non potrà essere usata nella cottura. Il bicarbonato, che in acqua ha una reazione molto alcalina, è usato da molti con successo come neutralizzatore di sostanze indurenti, ma è sconsigliabile perché potrebbe ridurre anche vitamine e nutrienti.
      E che fare dell’acqua del bagno (“ammollo”)? Si può scegliere, ma è meglio farsi guidare dalle caratteristiche biochimiche dei legumi stessi e dai vantaggi che voi volete trarne. Legumi duri (p.es. soia, ceci, cicerchie, alcuni fagioli), tanto più se avete aggiunto del sale, seguendo l’uso antico e popolare per cui il sale sarebbe un leggero ammorbidente: scolate e risciacquate i legumi anche più volte, in modo da eliminare parte delle sostanze indurenti e anche l’eventuale sale. Nessun legume deve mai cuocere col sale. Ma per gli altri legumi, sia a durezza media (fagioli e la maggior parte dei legumi con buccia), sia teneri, quelli cioè che nessuno lascia a bagno preventivamente (es: lenticchie), ma che invece si consigliamo ugualmente di far ammollare, è consigliato l’uso in cottura della stessa acqua dell’ammollo, specialmente se l’acqua si è colorata dei loro preziosi polifenoli (p.es. gli antociani degli squisiti fagioli neri o rossi). In tal modo resteranno anche le sostanze anti-enzimatiche e anti-nutritive che hanno le più spiccate proprietà protettive (p.es. anti-cancro, anti-metastasi), anche se parte di queste saranno molto ridotte dalla cottura ad alto calore (pentola a pressione di vapore), un po’ meno ridotte in pentola di coccio che cuoce a temperatura più bassa (perciò in molti casi a scapito della digeribilità). Anziché l’acqua di rubinetto, insomma, userete per la cottura questa acqua in cui sono stati a bagno, misurandola a mestoli.
Se invece eliminate l’acqua dell’ammollo scolando o addirittura sciacquando i legumi prima di cuocerli, e li cuocete sempre in sola acqua pulita – e non si tratta di cicerchie, ceci, e semi di soia, molto duri – vuol dire che non siete al corrente o non credete alle scoperte scientifiche sulla utilità per l’uomo delle sostanze anti-nutrizionali degli alimenti, e dei legumi in particolare, o che vi siete lasciati influenzare dall’irrazionale terrore della fitina (fitati, sali dell’acido fitico) diffuso da opuscoli e siti web di bassa qualità. D’altra parte l’ammollo preventivo è in grado di eliminare una parte, solo una parte, di fitati (acido fitico, fitina), saponine e polifenoli, che sono certamente anti-minerali, cioè riducono l’assimilazione di calcio, ferro, zinco ecc., e anti-nutrienti (saponine, inibitori delle proteasi, polifenoli, lectine e fibre riducono la utilizzazione di carboidrati e proteine. Minerali che sono presenti in quantità nei legumi stessi e che soltanto vengono assimilati un poco meno. E devono esserci anche nel resto della dieta. Ecco perché si sconsiglia di dare i legumi ai bambini piccolissimi e perfino ai ragazzi con dieta carente (come accade in Oriente). Mentre ai bambini occidentali anche il ferro dei legumi serve, visto che è più assimilabile grazie alla loro dieta varia e completa (frutta, verdura, vitamine come la C e acido citrico che aumentano la bio-disponibilità del ferro non-eme dei legumi). E anche la dieta normale del grande consumatore adulto di legumi deve essere completa, ricca di sali e vitamine. Questo, per l’aspetto nutrizionale. E per quello protettivo? Cosa molto interessante per gli adulti, proprio grazie alle sostanze antinutrizionali i legumi sono anche potenti anti-colesterolo, anti-glicemici e anti-diabete, anti-trigliceridi e anti-cancro (addirittura anti-proliferativi, grazie ai fitati). Cuocerli con l’acqua dell’ammollo, invece (e lo vedete meglio quando l’acqua è rossastra o nerastra a causa dei polifenoli dei fagioli rossi e neri) vi garantisce che tutte, proprio tutte le sostanze attive dei legumi, le anti-minerali e quelle altamente protettive, vengono messe in pentola.
       Quanta acqua per la cottura ottimale? Bisogna essere precisi e introdurre per la cottura la esatta quantità d’acqua o meglio di liquido del bagno (“ammollo”) richiesta [v. istruzioni della pentola a pressione] che consenta la cottura perfetta col minor resto di liquido. Con esperienze successive si capirà qual è la quantità di liquido perfetta per ogni legume con una data pentola. Alcune marche consigliano 3 mestoli grandi per 500 g di legumi, calcolati a peso secco. Ma un po’ di liquido resterà sempre sul fondo. L’importante è che il legume risulti a cottura ultimata tenerissimo, molto morbido (deve poter essere schiacciato facilmente tra due dita o dalla forchetta), insomma un po’ più morbido della media dei legumi precotti in scatola o in vetro. Il liquido avanzato va benissimo per il piatto stesso di legumi o per brodi.
      Quale acqua è più adatta per la cottura, ricca o povera di calcio e altri sali? Come bevanda, un’acqua “dura“, cioè ricca di sali minerali, soprattutto calcio (tranne che per i malati di reni: insufficienze reanali) è la più indicata per gusto e apporto nutritivo e protettivo. Però ostacola la cottura dei legumi più duri (ceci, cicerchie) o delle varietà più dure. Ci sono stati casi in cui, con varietà particolarmente tenaci di legumi, si è stati costretti a sostituire per la cottura un’acqua d’acquedotto molto “dura” addirittura con acqua oligominerale in bottiglia! Questo dimostra che non solo il sale da cucina, ma anche gli altri sali presenti nell’acqua ostacola l’intenerimento dei legumi in fase di cottura.
    E se i legumi cotti dobbiamo conservarli? L’occasione vi si proporrà spesso, anzi, quasi sempre, visto che l’utilità è anche nella possibilità di cuocerne una buona quantità per volta, dividendo il tempo di cottura in tante porzioni. In tal caso i legumi cotti da porre nei vasetti di vetro nel freezer o nel frigorifero devono essere più asciutti possibile, anche a costo di scolarli. Prima di riporli aggiungere il giusto sale e anche erbe aromatiche rimestando delicatamente, per aumentarne la conservazione in frigorifero (barattoli di vetro ben chiusi solo dopo il raffreddamento). Come regola, ripetiamo, un alimento, e specialmente i proteici-amidacei legumi, non va mai conservato in frigo col suo liquido, ma il più asciutto possibile, perché i batteri non cercano altro, un liquido ricco di nutrimento, per moltiplicarsi. Non per caso brodi e liquidi proteici sono usati nei laboratori, appunto, come “brodo di coltura” biologico.

QUALE RECIPIENTE PER LA COTTURA? A costo di dare un dispiacere ai romantici e nostalgici, va detto che per evidenza scientifica la pentola più indicata per i legumi è la pentola a pressione di vapore, non quella antica e tradizionale in terracotta o coccio. Per due motivi:
      1. Il primo motivo è psicologico e pratico: troppe ore di cottura ci vorrebbero con la pentola di coccio; e quindi casalinghe, gente che lavora e studenti impazienti finirebbero o per non cucinare e quindi non consumare mai legumi o per acquistarli già cotti in scatola, mediocre soluzione. Circostanze oggi purtroppo diffusissime, proprio o per la mancanza o per l’assurdo “timore” della pentola a pressione, specialmente tra le donne.
      2. Il secondo motivo è nutrizionale e scientifico: studi precisi sempre confermati hanno dimostrato che per quanto riguarda la distruzione delle vitamine (B nei legumi, C nelle verdure) e dei tanti principi attivi dei cibi (p.es. i glucosinolati dei broccoli) ha effetti più distruttivi la durata della cottura (tempo), che nella pentola a pressione è molto minore, piuttosto che la temperatura di cottura, che in questo tipo di pentola è più alta. Contro ogni romanticismo naturista, perciò, la lentissima pentola di coccio, proprio perché cuoce per un lungo tempo, sia pure a bassa temperatura, distrugge molte più vitamine e principi attivi della pentola a pressione che cuoce per poco tempo ad alta temperatura.


LA PIGNATTA E’ BELLA E STORICA. Ma siccome la pentola (o “pignatta”, perché in alcune forme somiglia a una pigna) fatta di terracotta o coccio (dal lat. coctum) o più propriamente terracotta, è un caro (in tutti i sensi, visto il prezzo che ha oggi e gli alti rischi di rottura) e bell’oggetto in sé, che rappresenta anche la nostra storia, e non ha la minima tossicità se è stata vetrificata bene con silicati, usiamola ogni tanto per cuocere i legumi secchi più teneri, che vogliono meno tempo: lenticchie, mung, piselli spaccati e fave decorticate spaccate (che danno luogo a purea, grazie all’uso finale di una frusta: anche per questo è essenziale che la pentola sia aperta, con quella a pressione ciò è impossibile). Insomma, che cosa non si fa pur di usare questa bella pentola! Per gli appassionati, però, la delicatissima e costosa pentola di terracotta vuole 10 regole fondamentali:
      1. Acquistare una pentola solida, di aspetto tradizionale e di buon spessore. Scartare quelle leggere o di forme inusuali o artistiche (potrebbero non essere adatte all’alimentazione) o prodotte da artigiani locali, a meno che non ci siano bollini o garanzie scritte sull’assenza di piombo nel vetrino.
      2. Acquistare anche il coperchio di terracotta adatto alla pentola. E’ fondamentale. Senza, o con un coperchio di metallo, la cottura “in coccio” non può avere luogo. Preparatevi: è stranamente costoso.
      3. Acquistate anche (obbligatorio) una retina spargifiamma di acciaio un po’ più larga della base della pentola. Serve a ridurre e diffondere l’impatto del calore, aumentando la durata del fondo della pentola, che è il punto debole e tende a spaccarsi. Però allunga anche i tempi di cottura!
      4. La pentola nuova va lasciata a bagno totalmente coperta d’acqua  per 1 giorno. Poi lasciare asciugare rovesciata e riporla o utilizzarla.
      5. Prima di usarla e ogni volta che la usate, sfregare un mezzo spicchio d’aglio sul fondo esterno del coccio (ho per anni preso in giro mia nonna e mia madre, ma mi sono arreso di fronte all’evidenza: evidentemente si crea una pellicola organica e colloidale che anche bruciata ostruisce i pori diffondendo meglio il calore e prevenendo o ritardando la rottura del fondo, prima o poi comunque inevitabile).
      6. Porre tra fiamma e pentola di coccio sempre la retìna spargifiamma.
      7. Usare sempre durante la cottura il coperchio di coccio adatto all’imboccatura. Che ovviamente nella fase tumultuosa (e ci vorrà del tempo…) della prima bollitura potrà-dovrà essere semi-aperto (attenzione che non cada: poi è difficile trovarlo della stessa misura!).
      8. A cottura ultimata e contenuto versato, attenzione, non poggiare mai la pentola di coccio bollente su una superficie bagnata o fredda, ma neanche su superfici di marmo-ceramica-acciaio non bagnate, tanto meno lavarla. Questi sono gli errori banali dei novellini, esiziali per la pentola, che così si crepa subito o nelle primissime volte, e deve essere gettata via. Se non altro perché nella crepa si insinuano batteri e perché la conducibilità omogenea del calore è ormai compromessa. Anche se il partito delle vecchiette di paese, che non sa di biologia e fisica, è di diverso avviso: continuano come se niente fosse a usare la pentola crepata (con l’accortezza di evitare ulteriori sbalzi termici…) aspettando che si spacchi. Dopodiché verrà ricomposta, legata e adibita a vaso da fiori.
      9. Come si lava una pentola di coccio? O immediatamente, quando è ancora bollente, con acqua altrettanto bollente (sconsigliato), o meglio quando si è ormai raffreddata all’aria (niente correnti gelide) dopo essere stata lasciata vuota e scoperta sul fornello spento. Dopodiché bastano acqua tiepida, spugna dura, le mani stesse, una spatola di legno – solo di legno – per rimuovere eventuali incrostazioni. Niente lana d’acciaio ovviamente. Le incrostazioni devono essere prevenute durante le ultime fasi della cottura, anche perché poi lo sfregamento per rimuoverle in fase di pulizia può a lungo andare assottigliare lo strato di vetrino del fondo.
      10. Nella pentola di coccio, a differenza di quella a pressione si possono aggiungere erbe aromatiche in fine cottura. Dopo aver rimestato con delicatezza, richiudere con coperchio e spegnere la fiamma dopo pochi minuti.

LA PENTOLA A PRESSIONE CAUSA MINORI PERDITE NUTRIZIONALI. Ancora non entra in testa a molti, ma la scienza è scienza, ovvero la verità è che distrugge più sostanze nutritive il tempo di cottura che la temperatura alta in sé. Perciò, la pentola a pressione, aumentando la temperatura di cottura, ma riducendo di molto il tempo, risparmia più sostanze protettive e vitamine rispetto alle pentole di acciaio e – a maggior ragione – di terracotta o coccio.
Acquistarla non troppo grande e di una marca nota ed europea. Non è economica (ma ci sono periodiche offerte nei supermercati) ma è un sicuro investimento che si ripaga in poche settimane. In ogni caso la misura minima utile dei legumi da cuocere è 500 g per volta. Quantità minori non valgono la pena e il costo energetico. Per una famiglia numerosa, meglio ancora 1 kg di legumi per volta. I legumi cotti, freddi e asciutti (mai col liquido eventualmente risultato) vanno messi in vasetti chiusi di vetro e conservati in frigorifero, se sono da consumare entro 3-4 giorni, altrimenti nel refrigeratore a bassa temperatura o freezer. Per i tempi di cottura seguire attentamente le norme del libretto del produttore. Una pentola a pressione oggi è sicurissima (ha almeno 2 valvole di sicurezza), e si basa su un’energia pulita del tutto naturale e innocua com’è la pressione del vapore acqueo, compatibile in teoria perfino con la tecnologia degli Antichi: sarebbe bastato chiudere il coperchio con argilla e lasciare un buchino di sfiato con una pietra sopra per creare una primitiva “pentola a pressione” migliorando la cottura e dimezzando i tempi. E chissà che non l’abbiano fatto! Per la manutenzione in fase di lavaggio pulire attentamente con spazzolino tutta la circonferenza della guarnizione di gomma e le valvole. Prima di chiudere il coperchio per la cottura è bene pigiare col dito sulla sfera della valvola saggiando il funzionamento regolare e il rinvio della molla.

SEMPRE MOLTO BEN COTTI. Ad ogni modo, qualunque sia il modo, i legumi, devono sempre essere molto cotti, mai “al dente”, in caso di incertezza meglio stracotti che cotti il giusto. La leggera pressione di un cucchiaio o di una forchetta deve poter schiacciare facilmente un seme di legumi cotto. Servono quindi ottimi strumenti di cottura. Solo se possono essere cotti bene, in modo rapido e facile, possono diventare d’uso quotidiano o quasi, costituendo la base sicura per un’intera dieta naturale e sana, a cui basta aggiungere cereali integrali e verdure per ottenere una dieta protettiva completa. Sono quindi non un “cibo facoltativo”, “eventuale”, ma anzi, importantissimo, fondamentale.

GLI STUDI. In una ricerca dell’Università di Otago (Nuova Zelanda) 113 persone obese sono state divise in due gruppi, che hanno seguito indicazioni nutrizionali standard. Unica differenza, al primo gruppo è stato chiesto di mangiare tutti i giorni 2 porzioni di legumi (da 90 gr. l’una) e 4 porzioni di cereali integrali, mentre il secondo gruppo poteva scegliere liberamente tra 6 porzioni di cereali qualunque. Nel gruppo dei legumi e cereali integrali si è osservata una riduzione della circonferenza vita superiore di quasi 3 cm all’altro gruppo (misura che è un indice importante dei rischi accessori nel sovrappeso), oltre a a più alti introiti di molti nutrienti (vitamine e minerali), fibre e indice glicemico più basso. [VENN et al. The effect of increasing consumption of pulses and wholegrains in obese people: a randomized controlled trial. J Am Coll Nutr, August 2010, 29, 4: 365-372].
In un altro studio (Stati Uniti), il consumo di legumi è risultato associato negli adulti, oltre che a un peso inferiore, anche a un minor girovita e a una pressione arteriosa «massima» inferiore. E’ noto che i legumi hanno un basso indice glicemico, cioè rilasciano il glucosio (dall’amido) molto lentamente, limitando l’emissione di insulina da parte del pancreas, e provocando innalzamento della glicemia più ridotto e graduale rispetto ai cereali raffinati che hanno amidi immediatamente digeribili perché non muniti di fibre e altre sostanze anti-nutritive (pane bianco, riso raffinato brillato, pasta raffinata, cornetti e tramezzini da bar, dolci, zucchero, marmellate ecc.). Queste proprietà fanno sì che i legumi aumentino la sazietà e siano molto indicati non solo per i malati (diabete, iper-colesterolemia, obesità ecc), ma anche per i sani.
Su Journal of the American College of Nutrition è stato pubblicato l’ennesimo studio scientifico (ce ne sono già migliaia) che prova in modo controllato l’effetto protettivo che il consumo di legumi, in questo caso i fagioli, ha avuto su 1475 persone già inserite nel grande studio NAHNES (1999-2002). Non solo il regolare uso di fagioli – ma è stato provato lo stesso per gli altri legumi – è associato nei risultati dello studio ad un maggiore introito di sostanze nutrienti fondamentali (più ferro, rame, potassio, magnesio, fibra ecc), ma anche ad una minore pressione sistolica, ad un minor peso corporeo e a una minore circonferenza addominale.

E LE FARINE DI LEGUMI? Per nostra antica tradizione etrusca-romana, i legumi macinati in farina si prestano a deliziose creme vellutate, consumabili o allo stato semi-liquido o cotte in teglia, padella, testo, piastra o pietra rovente. I più usati in farina sono i ceci. Famosa e squisita la farinata di ceci ligure (specialmente Genova), la “cecina” di Pisa, la torta di Livorno, la “socca” del Piemonte, la “fainè” di Sassari ecc. Ma se i legumi vanno lasciati a bagno prima della cottura, per permettere agli enzimi di ridurre biologicamente le sostanze che ostacolano digestione e assimilazione dei nutrienti (anche se utili e protettivi, p.es. anti-cancro), e poi sottoposti a lunga cottura, allora come si può fare con le farine di legumi, che oltretutto hanno una cottura più breve? Che accadrà? Non saranno antinutritivi o tossici? Ma no. Si fa come si è sempre saggiamente fatto. Anche in questo caso, infatti, non si getta l’acqua dell’ammollo (non si potrebbe materialmente), ma l’ammollo ci deve essere, eccome. Lo avevano già intuito – sperimentando gli inconvenienti su se stessi – gli Antichi, senza tanta scienza sprimentale moderna. La pastella di farina di ceci con la sua giusta acqua deve essere lasciata riposare per molte ore (p.es. tutta la nottata) in una scodella ben coperta per evitare l’essiccazione (e se fa caldo o avete il sospetto di aver messo poca acqua, meglio sigillare il piatto che fa da coperchio con foglio di plastica).

      Questo semplice accorgimento permette agli enzimi naturali di ridurre e in alcuni casi eliminare le sostanze anti-digestive. Azione poi completata dalla cottura prolungata ad alta temperatura, sia pure più breve che per i legumi interi, proprio grazie allo stato di farina. Quindi non si consigliano le pappine per bambini o anziani cotte, come si fa giustamente con le farine di cereali, in pochi minuti in un pentolino. Infatti le farinate di ceci perfino al forno, molto caldo (p.es. 220°C), vogliono circa mezz’ora di cottura, a seconda dello spessore e del forno. E anzi lasciare sempre qualche minuto in più dei tempi delle ricette.E I LEGUMI PRECOTTI? In vetro (meglio) o lattina (peggio), sono molto diffusi oggi tra i frettolosi e quelli che odiano cucinare. Per due falsi motivi: farebbero “risparmiare tempo” ed evitano l’acquisto della pentola a pressione, indispensabile per quasi tutti i legumi, che molti si ostinano a rimandare (la cosa è davvero strana e incomprensibile, visto che tale pentola è sicurissima, e l’alto costo si fa una sola volta nella vita). Anche la pentola di coccio (va bene solo per lenticchie, azuki, mung, piselli spaccati e farinate) costa cara, ma se la si sa usare con delicatezza (v. sopra) dura diversi anni.
Due falsi motivi, quasi leggende. Iniziamo dalla prima scusa: il “tanto tempo che ci vuole per i legumi, signora mia”… E sì, perché i legumi non si cuociono una porzione per volta sul momento. Cuocendone 500 g o più per volta in pentola a pressione e conservandoli poi un po’ in freezer e un altro po’ in frigorifero, se dividiamo il tempo di cottura per le porzioni, vediamo che una porzione di legumi richiede solo 5-12 minuti, cioè più o meno come le paste da cuocere!
I legumi precotti in vetro sono costosi, e pur non presentando rischi chimici o tossicologici, hanno spesso il difetto di essere o troppo salati o poco cotti (quindi indigesti). L’industria li cuoce poco per motivi estetici più che per risparmio di tempo ed energia in produzione (col vetro lo stato dei legumi si vede chiaramente), nella convinzione che se fossero un po’ sfatti, come invece si dovrebbe, gli acquirenti non li comprerebbero. Due elementi molto negativi. So di persone che hanno avuto problemi digestivi con i legumi precotti, specialmente con i ceci.
I legumi precotti in lattine sono più economici di quelli nel vetro, ma sempre molto più costosi di quelli cotti in casa. Oltre ad avere gli stessi rischi di eccesso di sale (che è un conservante) e scarsa cottura, hanno in più il rischio chimico-tossicologico del rivestimento interno della latta, quasi sempre in policarbonato PC. Questa “vernice” protettiva dall’azione acida dei cibi sul metallo è abbastanza inerte, ma può rilasciare nel lungo contatto coi legumi e il loro sugo tracce di bisfenolo, in genere BPA, che sui topi ha mostrato diversi effetti nocivi, come interferenza sulle ghiandole endocrine e il metabolismo degli estrogeni, oltre a vari altri rischi rilevati anche nell’uomo. Per i livelli medi di consumo, le Agenzie della sicurezza alimentare di tutta Europa hanno concordato per un rischio statisticamente minimo. Ma, al solito, tengono conto del consumo abituale di legumi della popolazione occidentale, che è basso, troppo basso. Siamo sicuri che se le agenzie (EFSA ecc.) sapessero che i salutisti e naturisti consumano legumi molto spesso, anche ogni giorno, sarebbero più severi con BPA e bisfenolo e vieterebbero queste vernici o addirittura la lattine. Quindi sconsigliamo i legumi precotti in lattine, a maggior ragione per donne incinte e bambini.
I legumi precotti in cartoni rivestiti all’interno di materiale plastico non li abbiamo ancora studiati, ma avranno sicuramente i loro rischi: li aggiungeremo al presente articolo.
In conclusione, per tutti i motivi sopra elencati (costo, eccesso di sale, scarsa digeribilità, rischio chimico-tossicologico) sconsigliamo i legumi precotti. Se una porzione vuole solo 5-12 minuti di tempo di cottura, non si capisce proprio questa resistenza psicologica alla cottura dei legumi, in persone che magari perdono mezze ore o ore intere per ricette elaborate. Spesso si tratta di scuse pseudo-razionali perché in realtà non si vogliono mangiare i legumi, temendo che siano di difficile digestione. Cosa non vera, come si è dimostrato sopra, se si rispettano facili regole.
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